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#1. Porsi domande

Come si fa filosofia?

Come non si può iniziare a nuotare senza arrischiarsi nell’acqua così non si può fare filosofia senza iniziare a porsi domande. 
Sì, per fare filosofia non serve aver letto molti libri o sapere molte informazioni. Basta sapersi porre domande, domande filosofiche. Le domande filosofiche sono quelle che cercano, desiderano superare la situazione di ignoranza in cui si è per muoversi verso la conoscenza. Philo-sophia significa infatti in greco “amore per la sapienza”.
Chi è sapiente non ha bisogno di farsi domande perché già sa. Chi è ignorante non si pone domande perché non sa cosa non sa. Solo il filosofo ha desiderio di imparare, comprendere, capire. Il filosofo è colui che sa di non sapere.

Come nasce la filosofia e dove?

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#2. Sapere di non sapere

Se qualcuno si chiedesse:
«Ma io che non ho mai studiato o letto molto… potrei essere una filosofa?»

La risposta sarebbe: «Sì! Certamente! Puoi esserlo e diventarlo!».

Chi è infatti una filosofa?

È una persona che sa-di-non-sapere.


Una persona che sa (o crede di sapere) tutto, non può essere filosofa. Non sarebbe spinta a cercare nulla. Sarebbe ferma.
D’altra parte nemmeno una persona che non sa niente, nemmeno di essere ignorante, sarebbe una filosofa. Infatti ignorando che non sa, non si muoverebbe alla ricerca, alal conoscenza. Non desidererebbe conoscere.

Solo una persona cosciente di non sapere, si muoverà alla ricerca, sarà curiosa di conoscere di più e meglio, sarà desiderosa di farsi una idea più precisa di quello che crede o sa.

Ecco come commentava Socrate l’oracolo che avrebbe detto che non vi era uomo più sapiente di lui:

«Io, o Ateniesi, per nient’altro mi sono acquistato questa fama, se non per una certa sapienza. Ma quale sapienza? Forse una sapienza umana. Un mio amico una volta, andato a Delfi, osò interrogare l’oracolo e domandò se ci fosse qualcuno più sapiente di me. Ebbene, la Pizia rispose che più sapiente non c’era nessuno. Io, udito ciò, cominciai a pensare così: «Che cosa mai intende dire l’oracolo e che cosa mai significa il suo enigma? Perché, quanto a me, so bene di non essere sapiente né molto né poco. Che cosa dunque vuol dire, quando afferma che io sono il più sapiente? Che menta non è possibile, perché non gli è lecito». E per lungo tempo rimasi in dubbio che cosa mai volesse dire. Poi, molto a malincuore, cominciai a cercare il significato delle sue parole in questo modo: me n’andai da uno di quelli che sembrano sapienti, fiducioso di potere almeno così dimostrare l’errore dell’oracolo e dire chiaramente al responso: «Quest’uomo è più sapiente di me, e tu dicevi che ero io!» Esaminando dunque a fondo quest’uomo mi sembrò che quest’uomo sembrasse sapiente a molti altri e soprattutto a sé stesso, ma in realtà non lo fosse. E allora mi sforzai di dimostrargli che egli credesse d’essere sapiente, ma non lo fosse; e perciò mi inimicai lui e molti dei presenti. Così, andandomene via, pensavo tra me e me: «Io sono più sapiente di quest’uomo. Infatti temo che nessuno di noi due sa nulla di eccellente; ma costui crede di sapere chissà che e non sa, mentre io, come non so, non credo neanche di sapere. E perciò forse io sono almeno in questa piccola cosa più sapiente di lui: ciò che non so, neanche credo di saperlo».

E tu, sei un sapiente, un ignorante o un filosofo?

#3. La parte e il tutto

“Se andassimo in vacanza in Grecia – ma vale lo stesso per una gita al bel sud dell’Italia – potremmo renderci conto facilmente di quale esperienza abbia originato uno dei problemi primari degli antichi filosofi e sul quale la storia della filosofia è tornata più o meno con regolarità a riflettere. Se infatti ci immergessimo nel mare dell’Acaia, con alle spalle qualche roccia a strapiombo sull’acqua, sotto un cielo blu terso e soleggiato, mentre il calore del sole ci scalda la pelle, ci verrebbe da fare la stessa domanda che si posero gli antichi filosofi, che sono stati chiamati successivamente e non a caso “naturalisti” e cioè:

“Ma tutto questo che sperimento come è parte di un tutto?


Come mai vedo cose diverse come l’acqua, la terra, l’aria e il sole, ma sono certo che tutti questi elementi fanno parte di un unico universo?

Come è emersa questa molteplicità di cose dallo sfondo di un unico scenario?

Si tratta della questione di come dall’uno possano venire i molti e in che modo posso pensare che tante cose diverse siano congiunte. 

Il problema si può spiegare anche più banalmente così: che cosa ci fa dire che un cesto di frutta è un qualcosa di unitario benché sia formato da singole e molteplici mele, arance, banane etc? La cosa diventa meno banale se iniziamo a porre il problema nei termini che ci riguardano più da vicino: come mai se maschi e femmine sono diversi eppure siamo convinti che facciano parte di una unica umanità con pari dignità?

Per dirla con la politica: sulla base di quale criterio comune diciamo che tutti gli esseri umani hanno pari diritti e pari dignità? Nonostante, infatti, gli esseri umani siano una categoria unica, siamo molto diversi gli uni dagli altri e anzi troviamo sempre pretesti per insistere sulle nostre individualità così da arrivare perfino a farci guerra, in famiglia come tra nazioni. Non importa se a dividerci sia il sesso, la razza, la cultura, la politica, le idee o la religione… troveremo sempre dei pretesti finché non riusciamo a risolvere quel  problema che per primi si posero i filosofi presocratici: come mai dall’uno i molti e quale elemento resta identico nella molteplicità del divenire? Come mai tante cose diverse sono anche un unico universo?

Quale è il fondamento comune che tiene insieme tutto ovvero il principio (arché) dal quale si può dire che tutte le cose provengono?

Gli antichi filosofi naturalisti risposero chi l’acqua (Talete), chi l’aria (Anassimene), chi il fuoco che brucia tutto e dalla morte sempre trae vita (Eraclito), chi i quattro elementi naturali insieme (Empedocle), altri presupposero dei piccoli atomi che scontrandosi e intrecciandosi tra loro avrebbero dato vita al tutto (Anassagora). Chi pensò che l’essere resta nonostante il divenire (Parmenide) e chi più misticamente, come Pitagora, volle vedere nel numero l’elemento più originario dell’universo il quale infatti come l’anima risponde ai ritmi matematici della musica.

Ma ancora oggi quel principio, che non va pensato come l’inizio cronologico, ma come il fondamento, il fine che tiene insieme il senso delle nostre vite, e della storia, resta lì ad interrogarci col suo mistero:

come e cosa resta, nonostante tutto?”

#4. La potenza della parola

“Che cosa rende un uomo libero?

Fu questa la domanda che si posero i Sofisti, i filosofi che ritenevano che la forza di un uomo, di un cittadino, stesse nella sua capacità di farsi valere nell’assemplea della città o “polis” ( da cui la politica). Nel regime ateniese della democrazia infatti tutti i cittadini potevando dire  la loro opinione, ma dovevano anche trovare il modo di farla valere.


Secondo i Sofisti la capacità di parola (logos) e cioè la capacità di bene gestire un discorso poteva portare al successo, a persuadere il proprio interlocutore e alla fine avincere la competizione del dibattito. Questa potenza della parola dipendeva fortemente dal sapere, dalla cultura e così questi filosofi si facevano pagare per insegnare come far diventare ogni tema un discorso av-vincente.

Riconosciamo in questi filosofi gli antesignani dei nostri moderni avvocati che spesso non hanno di mira anzitutto la verità ma la vittoria in tribunale del proprio cliente. Ma potrebbe valere lo stesso per un odierno stratega del marketing o un politico.

L’abilità di parola rendeva infatti i sofisti capaci di incidere sulle emozioni dell’animo umano, calmando la paura, eliminando il dolore, sucitando gioia, inducendo uno spavento, strappando una lacrima. Il discorso quindi ha un forte impatto sull’anima delle persone.
Per questo motivo noi oggi usiamo la parola  “sofista” con il significato di cavilloso, capzioso, falso, artificioso. In realtà sophos significa solo sapiente e i sofisti antichi ritenevano solo di essere così sapienti da poter fare del discorso debole quello più forte o di potare qualunque argomento a prevalere, indipendentementa dalla sua verità.
Ma nel giudicare così i sofisti noi stiamo dando ragione a Socrate, che fu il massimo degli avversari e critici di questo tipo di impostazione della filosofia.
Ancora oggi, molti Socrati criticano i nostri politici e i tanti sofismi con cui questi ricercano non la verità e il bene del popolo ma solo i loro interessi, rendendo qualunque argomento persuasivo per le masse.
Pensate ancora che la filosofia antica non abbia nulla da insegnarci?
Lo vedremo nella prossima puntata, quando ci occuperemo di Socrate.
Nel frattempo continuiamo a chiederci:

che cosa fa la vera forza di un essere umano? 

Cosa fa la mia forza?”

#5. Disseppellire Dio dal cuore delle persone

Ci eravamo lasciati con la domanda: che cosa fa la mia vera forza? Quando sono veramente forte?
Forza in latino si dice vis, da cui deriva il termine virtus.
Che cosa è la virtù, quindi?
La virtù è appunto la forza, la potenza della persona. La persona è realizzata quando riesce a utilizzare tutte le sue forze, energie, talenti, competenze in modo da essere vitale e felice, in modo da essere feconda.
Il vitium invece è tutto ciò che degrada e devia l’energia della persona. L’accidia infatti è la mancanza di tono dell’anima.
Quando Socrate si chiese che cosa fa veramente il valore di un essere umano, cosa lo rende libero, trovò questa risposta: la virtù.
Secondo Socrate, ciò che rende una persona davvero valida, forte, non è l’uso della parola per averla vinta sugli altri, indipendentemente dalla giustizia o dalla verità di ciò che si dice. Secondo il saggio, dentro l’essere umano c’è una forza incoercibile: la forza dell’autenticità. Questa andava perseguita con ogni mezzo, essendo ad essa collegata la felicità.
Ciascun essere umano infatti sa, nel profondo del proprio essere, quando è solo con se stesso, cosa fa veramente il valore di una vita, quali sono le cose per cui vale la pena vivere.
Ecco perché Socrate, riconosciuto come il primo Coach della storia, si accostava alle persone senza dare consigli o informazioni, ma solo facendo domande, spesso scomode (per questo veniva anche paragonato al “tafano”), per stimolare, per permettere agli altri di arrivare a questo fondo di verità.
La sua arte veniva definita maieutica, l’arte della levatrice, che era anche il mestiere di sua madre.
Aiutare gli altri a partorire se stessi, a scoprire il loro desiderio di Bellezza, Giustizia, Sapienza. questo fa il valore di una vita.
Lo stesso avrebbe detto molti secoli più tardi una giovane donna morta nei campi di concentramento nel 1945 ad Auschwitz: non è Dio a poter aiutare noi, ma siamo noi a dover aiutare Dio a nascere in questo mondo.
Si chiamava Etty Hillesum e decise di seguire la sorte del suo popolo, entrando in un campo di concentramento, pur non essendo una praticante ebrea, nè una cristiana, benché leggesse il Vangelo.
Etty aveva scoperto la logica dello Spirito: una logica generativa, feconda, fruttuosa.
Diseppellire il fondo autentico, il valore, le virtù, ….Dio, dai cuori delle persone: non è forse la più bella e gratificante operazione con cui dare senso alla propria vita e a quella degli altri?
Socrate e Etty lo hanno creduto, … fino in fondo.

Questo è anche il lavoro e la vision di ogni vero Coach.

 

#6. Eros o della motivazione interna

Socrate fu il primo filosofo nella storia della filosofia ad aver fatto della passione (eros) una questione centrale per la filosofia: secondo lui la relazione con i discepoli era la cosa più importante da curare, per introdurli alla comprensione della vita filosofica.

Gli antichi avevano scoperto un forte legame tra passione e ragione e tra passione e volontà.

Succede spesso in effetti che uno studente creda di avere una incomptibilità con delle materie scolastiche ma sappiamo che molto dipende dalla relazione con il professore. Non c’è infatti materia che non sia appassionante e per renderla tale è costitutivo il ruolo della guida: ogni maestro, ogni professore e guida deve saper appassionare e cioè aprire nel suo discepolo il desiderio di sapere. Di questo tema si è occupato un picolo libretto di M.Recalcati dal titolo L’ora di lezione. Per una erotica dell’insegnamento, Einaudi 2014. Un libro base per ogni insegnante ma anche per ogni Coach. Recalcati spiega in un certo senso l’insegnamento antico socratico: “l’insegnante è colui che sa fare esistere nuovi mondi, che sa fare del sapere un oggetto del desiderio in grado di mettere in moto la vita e di allargarne l’orizzonte”.

Per chi lo fai?
Ciascuno di noi può comprendere quanto si appassionato e motivato a fare qualcosa semplicemente ascoltando cosa (si) dice quando è determinato a farla: se (si) dice “devo, bisogna” allora la sua motivazione sarà esterna, cioè dettata dal giudizio degli altri, da valutazioni ascoltate in società o dalla televisione, da una falsa immagine di sé, dai soldi. Ma se dice “vorrei, desidero…” allora la sua è una motivazione interna. La motivazione esterna non avrà grande forza trainante per la nostra volontà e nemmeno lunga durata. Infatti non reggerà davanti alle sfide e alle difficoltà ripetute. Invece chi è determinato da una sua curiosità, passione e desiderio interno, allora non troverà ostacoli a qualsiasi cosa intraprenda. Non farà qualcosa se non per il gusto stesso di farla e troverà la sua gioia nell’intraprenderla prima ancora che nel conseguimento dell’obiettivo.

L’eros ha sempre guidato e diretto la ricerca filosofica, mostrandosi come forza motivante della ragione umana, la quale è minacciata dalla debolezza e dalla perdita di motivazione. La motivazione più grande non viene che da una relazione fondamentale.
Ecco perché Socrate era molto amato e tramite questo amore ha aperto la via della consocenza a molti allivi, primo Platone. L’eros con il quale un insegnante investe il suo sapere fa di quel sapere qualcosa di degno di interesse per i suoi allievi.
Ma Platone ha perfino superato il suo maestro. Per fare questo, ci deve essere stata una graduale ma determinata azione di  Socate nel sottrarre la sua  presenza affinché il suo allievo prendesse autonomia e arrivasse a dire una parola propria sul suo percorso di  ricerca.  Ecco l’ultima vera parola del maestro è quella che accompagna alla soglia: non sottrae il suo amore ma la sua presenza perché ogni allievo possa varcare la soglia della sapienza da sé.”